Dopo aver ascoltato l'audio scorri a fine pagina per non perderti la traccia finale.
Era un giorno come tanti per il mondo, si vedeva da come gli altri continuavano a guardare reel di Instagram davanti ai miei occhi, in quella piccola sala di attesa dove quelli scelti per tenere il tempo in pausa, si alienavano di fronte ad una macchinetta del caffè con quell’assenteismo che faticava a trovare il buco alle monete. Per me, era il giorno dell’evidenza di un male per cui ti vesti mettendoti la maglietta al rovescio, continui a chiamare il suo nome per tenerlo sveglio e premi l’acceleratore della macchina fino a sentire l’asfalto sotto i piedi. Era il giorno dove lo spazio si stringe e il tempo si allarga e dove il dolore prolifera velocemente in ogni cellula del corpo attaccandosi come colla senza lasciarti respirare.
Anche la gravità sembrava essersi aggrappata all’inerzia. La sentivo schiacciarmi la nuca cosi tanto da riuscire a piegarmi a metà, in quella posizione dove il petto ti tocca le ginocchia per tenerti dentro i pezzi che da li a poco ti frantumeranno anche parti di te che non pensavi nemmeno di avere. Sa di collasso e di paralisi l’abisso. Uno shock anafilattico che non prevede alcun antidoto per ritorni e ultimi saluti. Un passaggio privo di qualsiasi punto di riferimento. Sembra non esserci nemmeno Dio lì, che so, un sostituto. Non c’è nemmeno l’ombra di una preoccupazione affannata che sia ricordata di avvisarti. Da lei un avvisaglia me la sarei aspettata. Invece pure lei in ritardo, anche questa avrà sbagliato giorno.
Non c’è nemmeno la vita a lasciarti quel poco di privilegio di tenerla per mano un po’ di più, giusto il tempo di accertarti di esserne sconsolatamente più pronto, di averne annusato ogni metro cubo, di aver fatto per bene tutto quello che potevi, bene tanto quanto sopportare che la parola addio prendesse già posto nella tua vita, purché si sedesse in fondo cosi da vederla meno, purché ancora e un po’, fossero le sole parole in prima fila davanti a tutto. Perché è cosi che fa la morte quando arriva. Chiama i santi, la sorte e persino le parole che hanno il compito di lasciare uno spazio ad aggiungere, parole dove si può ancora raccogliere un residuo di fede, e chiede loro di non presentarsi, di fare un giro, di andare altrove, di preoccuparsi per altro, ma di non stare lì, quel giorno no. Non c’era nemmeno l’eco di un miracolo, di quel barlume di speranza a cui ti è concesso di accedere quando ne hai bisogno. Chissà quante volte me lo sono giocato per cose meno importanti alzando gli occhi al cielo dividendomi con lui le mie preghiere. Avrei dovuto non essere così cinica quando incrociavo le dita per molto meno. Sarà per questo che adesso quando chiedo non risponde nessuno.
La morte quando arriva si traveste di nomi incomprensibili. Anisocoria è una di quelle. A che pagina stava del vocabolario sta parola. Sarà mica una di quelle parole scritte in piccolo come le clausole vessatorie alla fine dei contratti per non renderti consapevole del contenuto. Sarà, ma quello che ho scoperto quel giorno, è che quelle, sono parole con le molle, parole che si allungano per brevi istanti in un’illusoria consolazione, che hanno dato la loro reperibilità per fare da scudo ai colpi, ma che invece, quando ritornano nella loro posizione naturale, dichiarano senza fraintendimenti l’evidenza che per quanto spaziatrici e divisorie, non sono parole per sovvertire.
Quello è il giorno in cui conoscerai i sinonimi del per sempre. Anche mi dispiace è uno di quelli. Te ne accorgi dal grado del tono con cui vengono pronunciati, che sono ottave troppo basse per esserci spazio in cui si può ancora chiedere. Pensavo che quel giorno, si aprisse un vasto e profondo varco divisorio tra ciò che resta e ciò che va, invece è stata sufficiente una sottile intercapedine a far entrare un vuoto disarmante il quanto basta per togliermi la facoltà di partecipare alla vita.
Si fa strada un dolore che da lontano arriva alla velocità della luce. Ho avuto com l’impressione che fosse immagazzinato tutto insieme in qualche parte nell’etere, pronto a sganciarsi come una bomba senza alcun conto alla rovescia. Non c’è neanche un velocissimo 3 2 1. Anche quello chissà, l’avranno prenotato per qualche evento più significativo, che so, instagrammabile.
Quel giorno, il tempo a disposizione, ha cessato di esistere in una stanza di ospedale dove erano fredde pure le luci. Avrei preferito il mare, un parco o forse solo il divano di casa nostra. Ma tanto che importa ai condizionali ora di venire a bussare alla tua porta vestiti degli ultimi desideri fintanto che di fianco ci hanno messo un foglio e una penna con cui firmare in basso a destra la presa visione del suo ultimo giorno.
Erano i crampi allo stomaco l’unico rumore di un corpo silente di quel giorno, ma per il mondo no, c’erano le campane a suonare per gli altri. Avrei voluto uscire in mezzo alla strada urlargli contro e prenderle a calci che no, non c’era più motivo di ricordarci che il tempo stava andando già avanti, perché per me il tempo quel giorno si è fermato alle 14.30 di un pomeriggio di luglio e li doveva rimanere per tutti, al massimo tornare indietro ma avanti no. Dov’è che si preme rewind qua. Tutti che studiano di portarci nel futuro, farci volare nel metaverso, ma a tornare indietro ci fosse uno che ci abbia mai pensato. Era troppo presto per salutarci, avevamo da fare ancora un sacco d cose insieme, sicuramente amarci, almeno una volta in più.
Quel giorno sdraiato su una barella con un tubo nella bocca gliel’ho ricordato che lo amavo tantissimo. Non al passato ma al futuro. Perché se c’è una sola cosa che ho permesso al per sempre quel giorno, è di avere un sinonimo diverso dalla fine. Io ti amerò per sempre. Questo è quello che gli ho detto stringendolo a me l’ultima volta. Forse sarebbe stato più capace ad andare dall’altra parte, sapendo che almeno una cosa tra tutti quel giorno, si era dispiegata in tutta la sua gravità per allargare quella stringente intercapedine dove tutto quello che ci è finito dentro sembrava non avere più l’intenzione di ritornare su, invece ci sono andata a mettere una promessa, a mettergli un sigillo.
Credevo che fosse la felicità a dare corpo all’esistenza invece è il dolore che ti riporta in vita
Dove sei stat@ fino a quel momento? Che stavi facendo? Ti sei accort@ del privilegio di aver ancora tempo, oppure; ti sei anestetizzat@ nella retorica del "vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo", rimanendo incollat@ ad un cellulare per raccogliere adesioni da perfetti sconosciuti. Chi c’è di fianco a te con cui creare ricordi. Quante dita di polvere ci sono in quel cassetto dentro cui continui a buttarci sogni da realizzare domani. Chissà se l’abbiamo davvero vissuto sto qui e ora, o se l’abbiamo vissuto come se ogni giorno fosse il primo, o se siamo solo bravi a trovare il tempo d sganciare aforismi di Nietzsche come didascalia di una foto vista Golden hour, quando qui ed ora diventano avverbi di luogo e di tempo già troppo anacronistici davanti alla mancanza di tempo a cui non si può più rimediare. Avremmo dovuto essere più capillari con la vita, che forse davanti agli ultimi saluti, ci sarebbe più gente piena, con il cuore si, colmo di dolore, ma scarno dell’amarezza che ti lasciano le cose che hai assaggiato solo per metà.
Che amara consolazione quella di sapere che c'è qualcuno che si sacrifica per ricordarcelo, che amara che è la consolazione, di avere un cuore diviso a fette che però continua a battere negli occhi che adesso sembrano occhi liberi dalla cecità. Ecco che cosa fa il dolorea qualche metro di distanza dal cuore. Ti restituisce il grembo dell’esistenza. Fa cessare la vergogna. Unisce i lembi delle cose disunite, fa pronunciare le parole mai dette, crea reti di solidarietà, disinibisce il coraggio a confessarsi e toglie ogni elemento dalla tara cosicché possa essere vissuto nella sua totalità.
Io da quel giorno non ho più paura di morire. Ho paura di non vivere in vita. Di non fare le cose per bene, di non essere utile a qualcuno. Ho paura di non ballare, correre, ridere a crepapelle, abbracciare, stringere, preparare torte e comprare fiori. Ho paura di non essere una buona amica, una buona figlia, una buona persona, di non incitare il mio intuito a confessarsi, di consumare finché ce n'è, ma no, paura di morire non ne ho più. Perchè alla fine uno per sopravvivere, crede in quello che gli va di credere, Ed io ho deciso di credere nell’eternità. Credere che dall’altra parte potrò rincontrarti, liberi da previsioni sbagliate e parole con le molle, liberi dalla paura di rimanere a secco di santi a cui chiedere di non dividerci.
Oggi a distanza di tempo, dipingo pensandoti con dei colori che ancora non sapevo di amare, non credevo nemmeno di essere capace di impugnare un pennello in realtà, ma forse è questo che fa il dolore, ti porta nella dimensione del vuoto a scoprire nuove forme dentro cui continuare a far esistere i per sempre, per sempre che al posto di portarti giù ad affondare con loro, mi pare che almeno cosi restino a galla.
Certi dolori non avranno mai margini e battute plastiche sufficientemente pronte per raccogliere tutta per intero una perdita. Perché certi addio forse non avranno mai sufficienti tentativi per essere elaborati. Che oggi è passato del tempo, e che forse per sempre farà male come il primo giorno. Ma oggi dopo tanto tempo, mentre dipingo con la musica che va sotto, mentre bevo quel bicchiere di vino che rende molle il rifiuto del per sempre, si fa spazio una nuova fessura, un promemoria per famigliarizzare col fatto che la vita è anche questa, anche se oggi non ci sei più, anche se oggi è già dicembre e la vita è comunque andata avanti.
La perdita mi ha aiutata a vivere nel non attaccamento, a giocare con la straordinarietà della metamorfosi, e a guardare all’impermanenza non più con la paura di perderla e vedermela scappare dalle mani, ma con la grande fortuna di averla lì, nell’adesso.
Allora così, alcun giudizio più esisterà , nessun rancore e nessun conflitto verso ciò che rimane a terra e non prosegue nel tuo divenire. Lasci che sia solo quello che deve essere, e nel momento in cui c’è, nell’esatto momento in cui è lì guardi occhi, stringi abbracci, dedichi sorrisi e allunghi aiuti, sapendo che Vita accade solo in quell’istante e che l’unica cosa che puoi fare di confortante per questa provvisorietà è contenere profondamente più che puoi, quel velocissimo ed inestimabile “passare” quando è lì con te.
Caro Ricky, Mi hanno detto che quello che scrivo è troppo lungo per un articolo, sarà, ma ho deciso che non c’è più tempo per abbreviare.
Ci vediamo nell’eternità amore mio grande. E chi lo sa, se credere che continui a vivere in quei colori adesso, potrà mai farmi un giorno perdonare Dio.
Immensamente. A
Clicca sulla copertina del disco per ascoltare tutta la traccia in versione completa.
Dopo aver ascoltato l'audio scorri a fine pagina per non perderti la traccia finale. A distanza di molti anni dal tormento di vivere una vita insoddisfatta mi chiedo: “ Se avessi avuto tutto ciò che desideravo avrei mai incominciato a cercare?". Se tutto fosse stato al suo posto ogni volta che ne avevo bisogno, se […]
Dopo aver ascoltato l'audio scorri a fine pagina per non perderti la traccia finale. Ho smantellato il contorno di tutte le mie credenze il giorno in cui ho intenzionalmente lasciato la presa, tolto la garanzia alle cose assolute e smesso di trattenere a me il sollievo per vedere cosa sarebbe rimasto al netto delle mie […]
Bellissimo
Il brano finale e come sempre bellissimo il tuo racconto
Grazie di cuore Francy ♥️grazie per essere qui.
Bellissimo zia. C’è scappata anche la lacrimuccia. 🥹
È il tuo coraggio di averlo letto che è bellissimo. A te, ti stringo forte forte.