A volte l’ho lavata tutta insieme, altre l’ho divisa tra il bianco e il nero.
Altre ancora l'ho persa nell'errore della misura.
Molte cose di lei le ho buttate.
Alcuni pezzi della sua esistenza li uso come conservanti per farmela durare meglio.
Qualche volta pur strizzandola continua a sgocciolare, come ad insegnarmi che in quelle perdite ci sia ancora qualcosa da elaborare.
La cucio quando è strappata, mi insegna a restare laddove c'è ancora qualcosa da curare, mentre mi riservo solo di osservarla terminare il suo ciclo quando è cambiare ciò che desidera fare.
Incontro lei negli altri, nelle grinze da ammorbidire, siamo in molti lì ad esercitare i nostri credo.
Quando è su ad asciugare mi regala un cenno di serenità, a volte sembra le bastino solo un paio di mollette per rimanere dritta nel mondo.
E poi, quando gira, mi pare sussurri impermanenza, come ad invitarmi alla totalità, come a chiedermi di non trattenerla aggrappata al bisogno
ma piuttosto di restituirla alla libertà.
Io nel dubbio ho scelto di scriverla stendendola tutta, per ricordarla, per ricordarmi.