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31 Maggio 2024 • ,   

La tormentata fortuna di avere gli occhi più grandi

Tempo lettura: 9 minuti

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Desideravano amore.
Lo esprimevano come desiderio sulle candeline della torta ad ogni compleanno , lo leggevano nelle poesie da libri sfilati dagli scaffali delle biblioteche che sceglievano dalla ruvidità di una copertina che sembrava per questo contenere dentro una storia vissuta. Lo cercavano, sottolineando parole che sapevano di verità, anche se temevano di incontrarla per non avere la certezza che esistesse, in quella vita in cui, sembrava appartenere a qualche altra storia che non fosse la loro. Lo avevano ascoltato nelle canzoni mentre sedevano un posto che diventava un po’ più comodo solo immaginandolo, dentro quella melodia che pareva tenere le vite perfettamente unite. È da lì, che avevano iniziato a desideralo, nelle forme impalpabili  del prima o poi,  quelle che non vedi ma sai che esistono, quelle che poi se aspetti arrivano, che poi se chiudi gli occhi appaiono, che poi se guardi il cielo si avverano.

E’ stata la lunga attesa vissuta ai tavolini delle caffetterie senza ordinare per due, la svista della fortuna davanti alle sliding doors , la mira sbagliata di cupido, le orecchie tappate di Dio, Babbo Natale che non è passato o saranno state le canzoni troppo corte ad avergli  tolto in fretta dal loro cuore l’amore, che di desiderarlo ora, non avevano più voglia. Troppo estenuante la coda senza poter incontrare una carezza, un abbraccio, qualcosa in cui sentirsi salvi, vivi e meno soli.
Ora non era più una questione di desiderio, la mancanza di amore era diventata l’urgenza di sopravvivere al suo dolore, un disperato bisogno  di essere visti, fino a fare  pena ai cuori, fino a rendersi a se stessi insopportabili.
Lo scoprirono più tardi, che era da molto prima che aveva iniziato a ricevere l’amore con un dosatore, quando costruiti ponti di sopravvivenza per andare oltre quella manchevolezza, si trovarono di fronte ad un mondo che era solo il prosieguo di un film già iniziato, fermo in quella scena  in cui si centellinava amore da una tetta messa in bocca all’occorrenza , da un gesto di disattenzione, da un invito in meno ad esistere.
Nessuna ninna nanna emolliente, un cavalluccio consolatore, due braccia che li raccogliessero dentro. L’amore per loro da tempo, aveva come prerogativa delloscambio la fame, l’inesistenza del passami l’acqua a tavola e quelle non erano sviste di poco conto, negli anni li avevano portati a fare l’elemosina ad ogni qualsivoglia forma di nutrimento, un sostentamento che di qualsiasi ne fosse l’origine, per quanto a volte, nobile,  non è bastato a crescere senza disabilità emotive.

Quella cosa di  bere da un contagocce la linfa vitale che tiene in vita un uomo, li aveva in qualche modo portati a fare cose straordinarie però. Come vivere quasi sentendosi in colpa. Perché un uomo non amato, è un uomo che si sente dimenticato, un uomo che non viene mai scelto è un uomo che sembra dare fastidio, e un uomo che sembra dare fastidio è un uomo che si sentirà sempre privare del permesso di chiedere.

Così avevano avuto a che fare con le più articolate forme di sostentamento per stare lontani dalla nostalgia delle cose non ricevute. 

Si erano dati un gran da fare affinché  l’eco di quel vuoto non disturbasse. Avevano fatto cose inimmaginabili per provare la temperatura del calore nei sinonimi più disparati dell’amore, mettendosi al servizio del baratto, dell’ignoto e dell’inesperienza pur di procurarsi qualche coordinata in cui percepirsi esistere, ma  sempre senza chiedere orientamento, per evitare di incorrere alla banalità di domande noiose che altri sembravano non farsi mai, tipo “È qui che devo stare io? 
Perché insomma, gli altri erano cresciuti con la presenza di chi ti lascia il  posto, di chi te lo indica per lo meno. Loro non l’hanno vissuta l’apnea di quelli dimenticati, di quelli che se arrivi per ultimo stai in piedi, quindi a che serviva chiedere al mondo di che pasta fosse fatta quella cosa che per gli altri era ovvia. 

Quella cosa del “Si certo che mi vedono”.

Cosi, preferivano non fare domande, si affiancavano a chi sembrava avere più conoscenza a  disposizione, sarebbe stato troppo umiliante farsi scoprire impreparati, loro non sapevo di che argomenti parlano i cuori interi. Provavano a sopravvivere con ciò che conoscevano, cosi parlavano di altro, delle cose di cui potevano esserne pertinenti,  delle cose che non saziano, di quelle tappa buco insomma, ma di amore no, non si parlava mai, non troppo non per tanto e di certo non in modo continuativo.

Dalle loro parti si respirava onore attraverso queste forme di protezione, gli dava decoro pescare dal buco delle tasche ciò che era rimasto della rispettabilità di una storia, che per quanto non gli andava bene era pur sempre la loro, ma che fatica però vivere andandoci sempre di fianco alle cose.


Una volta grandi si accorsero che nel prima ci avrebbero passato molta vita, quando dai quei viaggi in autobus con il walkman e le cuffie sognando sollievo nel cuore si erano accorti che il tempo si era spostato cosi tanto da diventare adulto e che rispetto a quell’immagine passata erano diventati solo più alti, tenevano in tasca una dose di disillusione in più per evitate il mal d’amore, ma la fonte da cui si abbeverava il loro cuore sembrava ancora contaminata di qualcosa che lasciava negli occhi residui di rinuncia o forse era solo rabbia.
Perché ai non visti la rabbia si è impegnata a stargli affianco, lo ha fatto per la maggior parte del loro tempo. Li ha aiutati a non fargli tralasciare nemmeno una delle volte che non è andata bene, a sganciare bombe distruttive contro tutte le possibili difese per portarsi a casa quell’uno a zero che alla fine dei conti, i conti non li ha mai fatti quadrare. La rabbia gli ha dato un’identità, un senso di esistenza, una rivalsa, è servita solo per ricordargli il riepilogo del rancore provato, per far presente le volte in  cui 1+1 non faceva 2, cosi, giusto per rendere evidente che la parola nonostante, davanti agli sbagli, ha una lega troppo fragile per tenere unito in qualche modo ciò che c’è stato prima che il dolore facesse visita. Si è fatto a gara a chi non ha accoppiato per bene i calzini, rendendogli facile quella cosa di dimenticare ciò che non si vuole ricordare. 

Perché a furia di combattere l’ovvio, quando i conti più banali non tornano, si inizia a spezzettare tutto pur di rendere incontestabile la disparità degli errori, anche barando se serve, purché qualcuno se ne esca con quell’atteggiamento trionfante di chi gira le spalle per primo, come a rendere evidente che il prezzo dell’amore che nessuno ha mai pagato per loro, qualcuno lo avrebbe dovuto pur scontare. Doveva essere chiaro a tutti che quelle erano anime nate sotto il segno di una costellazione imprecisa e che per ricambiare, il trattamento previsto, sarebbe stata la collera. 

Ma a girare le spalle camminando da eroi, serve solo ad ignorare il tentativo di riuscita di una promessa ,a chi ha bisogno dell’astio per aiutarsi a far passare in fretta il male, per essere legittimato a difendersi anche punendo.
Questi uomini sono andati in giro nella loro vita facendo cose discutibilmente straordinarie. Per sopportare il peso di tenersi dentro una cosa spaccata, si sono isolate dal mondo, sono scappate, hanno creato se stesse nel silenzio, pur di stare lontane dalla nostalgia delle cose non ricevute, da ciò che non ha avuto premura di prevenire.
Loro erano fatti per avere dentro cose intere, insieme e complete, come tutti, invece si sentivano una promessa non mantenuta, l’ormai è troppo tardi, il te l’avevo detto, il fuori tempo massimo, una parte nella pila delle cose che un giorno verrano riutilizziate.

.Loro non avrebbero voluto vivere di sostitutivi, ma lo hanno fatto, perché dove cresce un uomo non visto, abitano sentimenti di seconda mano e quindi la progettualità per rendersi meritevole, anche svendendosi se serve. 

Eppure dove abita quell’uomo, spesso abita la domanda, perché il posto che sta di fianco a chi sembra avere più conoscenza a disposizione, è un posto di interrogazione, ma non tutti gli uomini non visti si salvano nel dubbio, nemmeno quando il dolore è cosi inspiegabile per essere vero.

Tutti quelli che somatizzano una mancanza tendono ad ammalarsi perché è solo nella sofferenza del corpo che possono risvegliarsi e poi guarire. È la stessa vita che li porta a vedere dove se ne vanno le cose che non ce la fanno, in quale parte del corpo finiscono, per non precludere a nessuno la straordinaria possibilità di diventare osservatori del loro pensiero, di che cosa è in grado di creare, se distruzione oppure guarigione.

Il beneficio del dubbio che vede il dolore come portatore di un messaggio, non sempre compare come ragionamento nel cuore di quegli uomini non visti, e quelli che non accennano quesiti in merito, sono quelli che si perdono, che vedono il filo scappato irrecuperabile, quelli che il  “poi” che sta dopo il prima,  lo hanno fatto attendere nel miracolo, perché la grazia a detta loro, gli era dovuta.
Sono quelli che hanno scelto di vivere nell’ ombra della desolazione, non hanno creduto nella riconquista, non hanno voluto vedere l’esperienza del dolore da un altro punto di vista. Si sentono marchiati a vita e qualsiasi cosa accada si sentiranno sempre il prodotto di una conseguenza. 

E poi ci sono quelli a cui si presenta lo stesso conto, anche loro arrivano a pagare il prezzo del dolore con la disperazione del corpo, ma scelgono di rispondere con più immaginazione, il che li rende creatori, artisti, saggi e maestri di vita. Imparano a convivere con le cose spaccate e a guardarle anche quando non gli piacciono e a crescere insieme a loro senza la mortificazione che siano viste contrariamente da quello che sono sono. 

Sanno quanto è difficile essere gli unici a vedere l’impercettibile lato scheggiato di ciò che per il mondo è apparentemente intatto, perché hanno vissuto di fianco e come tutte le cose che fanno da anca, tendono a sentire il peso diversamente.
È la loro sensibilità a regalargli la cura, la tormentata fortuna di avere gli occhi più grandi, che per gli altri sembra poca cosa, per loro vuol dire vedere nel punto più buio della notte l’alba,  e lo fanno per vivere meglio non perché realmente la vedano, lo fanno perché hanno capito che la guarigione sta sempre dove è disponibile una nuova prospettiva. 

Quegli uomini hanno compreso che l’altro, il mondo, è il loro specchio, che la vita non è accaduta a loro, ma per loro, che è li che li voleva, a specchiarsi proprio dove ti aspetti di vedere sempre cose belle, che al contrario riflettono ciò che dall’immagine dell’amore non ti aspetti, ovvero che sia sfocata se non addirittura senza bordi.
Ma quella distorsione in verità non era del mondo, non era di una madre, di un padre, di un compagno, della vita, quella mancanza d’amore che sembrava sempre a loro essere sottratta, in verità erano loro che la sottraevano a se stessi e che la vita non avrebbe tardato a ripetersi se dal fianco, non si fossero spostati per mettersi di fronte, per guardare in faccia chi realmente doveva imparare a guardarsi per smettere di chiedere al mondo di farlo al posto loro.


Crescendo, gli uomini che hanno abitato luoghi del cuore dimenticati o si sono persi nel biasimo oppure hanno trovato l’alternativa di un atto più nobile alla collera che li porta ad iniettare nelle virgole e nei però il loro disappunto. Hanno tolto dal mondo quel velo marcio per smetterla di guardare attraverso, cosi da guardare le cose per come sono, per accettare quelle che non si possono cambiare rimanendone comunque grati per ciò che gli hanno insegnato, per quello che sono diventati grazie a loro.
Hanno usato parole capaci di togliere ogni forma di predominio dallo sforzo per non creare refusi al ricordo, parole che restituiscono all’amore il senso del suo passaggio, quell’amore che magari non era pronto, non era capace, ingenuo, genuino e forse anche un po’ ignorante, quello che a sua volta ha subito un invito in meno a d esistere. Eppure con quelle parole come grazie, scusa, hanno sistemato quello che si poteva recuperare, hanno tolto dal cuore il peso del livore, per calmare la tachicardia di un’immagine che ha provato pena a sapere che forse non sarebbe mai stata quella sperata, giusto per convenire al merito di darle di nuovo dei bordi, seppur sfocata, seppur non più nitida, pur sempre con una cornice che da alla gratitudine il senso del suo vivere.

La vita a quegli uomini voleva insegnare una sola cosa, a non avere bisogno dell’amore ma a desiderarlo e prima ancora ad esserlo e poi insegnarlo. Il come, fa parte della storia personale attraverso cui deve imparare la propria lezione vita, il nodo da sciogliere per la sua evoluzione. 

Tutti loro erano chiamati a fare esperienza del dolore, perché tutti loro, volevano la vita più bella da vivere, non quella fatta di cose, ma quella dove si ama e si è amati. Ma solo chi si è tolto dal ruolo di vittima diventando l’osservatore, ha potuto incontrare la coordinate precise dell’amore, di quell’amore dove non solo si ama ma si è anche amati, che di romantico non ha a che vedere con apparecchiare per 2 i tavolini dei bar, ma solo l’epilogo di chi si è convertito al perdono.

Immensamente 
A.

.


Clicca sulla copertina del disco per ascoltare tutta la traccia in versione completa.

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