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28 Marzo 2024 • ,   

La tana del Bianconiglio

Tempo lettura: 10 minuti

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Trova la tua pace interiore è una frase che mi ha sempre fatto incazzare quando vagavo nella vita in cerca di robe forti.

Con tutti soldi che ho speso in libri, corsi di formazione, viaggi di ricerca, passando dalla redenzione alla fisica quantistica, alla fine Lei, la frase equivalente a ritenta sarai più fortunato, quella che come il nero sta bene con tutto, ovvero,

La risposta che cerchi è dentro te stesso”.

Mi aspettavo qualcosa di più risolutivo, qualcosa di meno banale. Mi sembrava una frase sbrigativa di quelle che butti là a caso tanto per chiudere, che dicono tutto e niente, con quel fare filosofico tendente al superbo che non aggiungendo altro, ti lascia l’amara sensazione che le tue perplessità riguardanti il senso del tutto, fossero troppo stupide per questo mondo così brillante.

Perché la pace e la serenità di cui parlavano libri, i guru, e persino mia madre, mi sembravano degli espedienti troppo spicci per poter conservare la panacea dei turbamenti di un essere umano, invece io pretendevo dalla vita che le risposte ai suoi grandi perché, fossero sbalorditive, ultraterrene, vestite da supereroi con poteri straordinari.

Cosi ho iniziato ad intimare la grande madre,  la madre terra, la generatrice dell’esistenza di ogni qualsivoglia forma di vita, colei che detiene il sapere più nobile,  andando alla ricerca di luoghi e persone che contenessero verità più suggestive, assumendo quella posizione podalica con cui sono nata che mi pare mi abbia in qualche modo sviluppato un legame di attaccamento con quell’irremovibilità. Della serie, finché non sono convinta io da qui non mi muovo.

Il fato poi, se vogliamo trovare un sinonimo edulcorato alla disgrazia, ha voluto che nascessi sotto il segno dello scorpione, cioè con la condanna del beneficio del dubbio. Credo ma non mi fido. Imparo solo quando tocco il fondo di faccia. E mettiamoci pure che Saturno ce l’ho avuto contro a giorni alterni,  posso dire di aver provato a sventrare l’accesso a quel sapere come uno che si lancia da un paracadute che funziona ma che in volo non si apre per scelta.

Come a farmi intendere

 “ Hai voluto risposte da supereroe e adesso sono caxxi tuoi”.

Ed effettivamente  è proprio cosi che è andata. La vita mi ha dato tanto coraggio da prendere rincorse e saltare nel vuoto senza paura, come a dire “tu vai, salta pure, ti darò tutta la forza che ti serve per arrivare fino in capo al mondo a piedi scalzi, ti farò godere di viste strepitose, cuori eccezionali, resilienza a sufficienza quando la tua batteria vitale avrà l’1% di autonomia e persino la voglia di continuare a sognare quando ti toglierò improvvisamente tutto, ma comunque, anche dandoti la luna non ti darò mai una cura.

Un estenuante esperimento di riesumazione della felicità, assiduo, solerte, tormentato. Un perpetuo calcinculo in cui giri velocemente per acchiappare al volo un trofeo. 

Cosi, ho viaggiato per tutti questi anni con la credenza che sarei esistita solo al traguardo di un’aspettativa. Se la felicità si trova in un’altra città mi trasferisco, se si trova nel fare carriera lavoro più degli altri, se si trova nelle relazioni io sarò una brava qualcosa e cosi a sfinimento in un’eterna reiterazione.

Perché alla fine come si fa a biasimarci. Siamo cresciuti con super Mario che saltava sui super funghi per diventare più forte, Cenerentola che viene salvata dal principe azzurro da una vita da sguattera, e tutte quelle storie di successo in cui si diventa più potenti se seduti ad una scrivania in un ufficio vista skyline. Cosi abbiamo corso per prendere super funghi, perso scarpette per attirare l’attenzione di qualcuno, firmato contratti a tempo indeterminato, tutto per arrivare a quell’immagine ultima dove, per paura di non vivere felici e contenti come nelle migliori pellicole cinematografiche, siamo finiti anche per modificarci, mortificarci e separarci inconsapevolmente alla nostra personale integrità. 

Che cosa abbiamo rincorso esattamente non lo so, uno stato sociale, una gratificazione, forse volevamo che nostro padre ci allungasse qualche pacca in più sulla spalla, o fare contenta mamma che ti voleva spostata e coi figli, anche se poi fino in fondo quegli studi non ti hanno mai reso felice, anche se poi di convivere a 30 anni non era nei tuoi piani. Perché a me il dubbio che qualche domanda fosse rimasta scoperta, mi era venuta già da ragazzina quando ad una lezione di educazione sessuale  scoprii che non era stata la cicogna a portarmi nel mondo dentro un fagotto fluttuando nel cielo, ma bensì fossi il risultato di un ovocita fecondato da uno spermatozoo. E non so se fosse stata questa straordinaria scoperta a lasciarmi da quel momento il beneficio del dubbio di non credere mai fino in fondo alle storie che ci raccontano o se invece è stata la malaugurata sorte di avere il domicilio in Marte dove dimorano gli spiriti luciferici che accendendo negli uomini desideri e impulsi sfrenati di libertà ed emancipazione.


Cosi poco dopo aver raggiunto l’età anagrafica che ti permette di uscire di casa senza più chiedere il permesso, accolgo il dubbio a trovare per conto proprio le sue certezze, raccogliendo dentro una valigia rosa tutte quelle domande sull’esistenza a cui nessuno intorno a me sembrava essere interessato a porsi. Chi siamo, cosa ci facciamo qui, da dove arriviamo, di che colore ha gli occhi la felicità. 

E cosi una sera di maggio poco più ventenne, mentre guardavo il cielo dal finestrino della mia macchina, ho avvertito una forza divina, un segnale cosmico, o forse, era solo la risposta dell’amigdala davanti alla minaccia di vivere una vita separata dalla vita stessa.

Cosi prima fu Londra la destinazione di quella valigia e poi tutto ciò che ho fatto nei 15 anni successivi a quel giorno di maggio, perché io di quelle narrazioni volevo esserne la protagonista, volevo sperimentare in prima persona la trama di quella storia dove l’uomo trova la sua cura in ciò che sta al di fuori di lui, in braccio al mondo. Perché alla fine che ci piaccia o no questo è ciò che ci hanno sempre insegnato. 

Cosi ho studiato, lavorato di notte, firmato promozioni, ho aperto un’azienda, avviato progetti, ascoltato  persone, sottolineato libri, pagato psicoterapeuti, fatto l’elemosina ai cuori, volontariato, beneficenza e ho adottato un cane. Ho dormito 6 mesi nella laundry room di una casa venduta come stanza singola, dove dormivo per terra su un materasso senza rete, al freddo con le bottiglie dell’acqua calda nel letto e un boiler in testa, perchè fare carriera era più importante di sopravvivere di stenti. Ho affrontato una malattia senza concedermi di sentirmi malata un solo giorno, per non avere vie preferenziali nella compassione di chi avevo di fronte, accettando persino che fossero gli altri ad attirarla al posto mio, imparando da questo che il biasimo rende un uomo vigliacco. Ho fatto passare davanti a me chi in fila al supermercato aveva meno cose delle mie. Ho smesso di strappare quadrifogli, di ammazzare cimici, e allenato la gratitudine per non desiderare troppo. E questo, per dimostrare alla vita, che non le avrei mai chiesto risposte da supereroe se non lo fossi diventata un po’ anche io, spesso andando contro al pudore, tanto da togliere il grado del carnefice sulla spalla del mondo e appiccicarlo sulla mia, cosi da guardarla in faccia tutti i giorni, eventualmente, la causa del mio stesso male. 

Poi un giorno come un altro quel male mi fu chiaro. Quella sera sera di maggio poco più ventenne, mentre guardavo il cielo dal finestrino della mia macchina, la risposta alla minaccia di vivere una vita separata dalla vita stess,a avevo appena iniziato a manifestarla quando ho fatto quella valigia aspettando di fiorire da radici che non fossero le mie. Ma prima, ho dovuto necessariamente credere a quella narrazione che per sistemarti l’esistenza devi essere efficiente. Arrivare prima degli altri a lavoro, parlare con eleganza, tra simpatica e puttana ricordati la linea sottile, se provi a riposarti sei inutile, se non hai voglia fattela venire, se non ti piace il lavoro che fai ricordati il posto sicuro e per finire, ricordati il senso di colpa che non ti farà dormire la notte se provi a far scegliere il cuore.

Sicuramente avrei potuto seguire ancora di più alla lettera il vademecum del regolamento sui limiti di dosaggio del pensier proprio,  ma io volevo una vita d’effetto e quindi ad un certo punto ho dovuto necessariamente fare da garante, qualora gli effetti di pensare per conto mio fossero stati collaterali. Perché quando semini ogni qualsivoglia intenzione la vita prima o poi te la fa germogliare quando meno te lo aspetti e quindi da una che voleva sventrare l’accesso a quel sapere, come uno che si lancia da un paracadute che funziona ma che in volo non si apre per scelta, alla fine si, ho planato dentro una vita incredibile, ma poi la verità che tanto cercavo l’ho incontrata solo quando sono finita sul suolo di faccia, perchè è solo dalla terra che fioriscono i fiori.

Ma questo non lo puoi sapere finché non sperimenti sulla tua pelle che non è la felicità che dovevamo cercare. Perché la felicità dura il tempo di un giro di giostra, il tempo della rincorsa prima di tagliare un traguardo, il tempo della chiamata ai tuoi per dirgli che sei stato promosso. Dura il tempo di un’istante e poi si dilata fino al prossimo giro, fino alla prossima occasione che hai di provare sensazioni di euforia indescrivibili, ma poi quando quando tutto è spento, quando il buio rimpiazza la luce, quando ti viene tolta dai piedi la terra, tu, non sai più chi sei e ti rendi conto, che quelle domande scoperte su chi siamo e cosa siamo chiamati a fare qui, non possono essere chiuse con dello scotch di carta, non possono trovare risposta in ciò che può strapparsi, in ciò che è impermante, io ciò che non dura in eterno. 

Perché se è vero che la felicità è ciclica, allora chi siamo noi nell’attesa di un’altra passata di scotch. Persone senza volto,  la metà di una mela che marcisce se non trova il con il suo rispettivo equivalente, i soldi di un chiaroveggente che ci anticipa il prossimo giro di giostra su cui saltare perché non sappiamo che farcene del presente senza un po’ di futuro. Siamo fuoco sulla linfa vitale, anime senza scopi, talenti inespressi, cuori privi di battito.

Ma è solo incontrando l’illusione che togli il velo di Maya dietro il quale è nascosta la realtà delle cose, ciò che avremmo dovuto cercare, quel velo che separando gli esseri dalla propria conoscenza, dalla percezione della realtà, impedisce loro la liberazione spirituale tenendoli così imprigionati. Il matrix della cultura induista. L’aveva detto anche Morpheus a Neo che era uno schiavo nato in catene, in una prigione che non ha sbarre, che non ha mura, che non ha odore, una prigione per la mente e che avrebbe dovuto scoprire con i suoi occhi che cos’è il Matrix, che cosa c’è dietro il velo di Maya.

Io sono arrivata ad arrendermi il giorno in cui, pur guardando la mia vita e osservando che ogni cosa era al suo posto, un letto per dormire, un lavoro, la famiglia, un compagno, amici meravigliosi e i miei cani, avvertivo ancora quello stato di separazione. Ma questa volta nessun viaggio di sola andata, nessun antidoto, nessun nuovo progetto, niente contratti, niente persone, niente elemosina ai cuori e nemmeno niente “passa pure davanti tu che hai meno cose delle mie”.


Questa volta voglio avere la precedenza. Voglio sapere chi chi sono senza scotch, qual’è il mio volto, cosa posso fare per essere una mela intera, per stare del presente senza un po’ di futuro, per essere nutrimento per mia linfa vitale,. Qual è lo scopo della mia anima, che talenti ho da esprimere e come batte un cuore che si produce ossigeno da solo.

Sono venuta a stare per non po’ nelle colline sperdute del Monferrato per imparare a togliere anziché aggiungere e ho scelto di farmi insegnare dalla natura come fare. Ho guardato un albero davanti casa bagnarsi di pioggia per giorni, notando che ti accorgi della maestosità del suo tronco solo quando è spoglio. Solo quando sui suoi rami si fa spazio.
Un albero non si ripara dalla pioggia, non si chiede se è felice. Non si ostina a fiorire in inverno. Muta rispettando le tempistiche della natura, affidandosi alla vita senza desiderare altro. A lui non importa se i suoi rami si spezzeranno, non controlla che le sue foglie rimangano sempre con lui. Si fa attraversare dalle stagioni senza attaccamento perché lui non si identifica in ciò che accade al di fuori.
Fuori è solo vita che passa. È solo vita che accade.
Non la trattiene e non la modifica. Lui non si fa affliggere dalle intemperie, ma le attraversa totalmente, senza evitarle, accogliendole in quanto esperienza della sua stessa ciclicità. Non si sposta, rimane dov’è perché al contrario se lo facesse, si separerebbe dalla sua natura, dalla sua verità. Invece lui sa chi è e dov’è il suo centro, ed è in pace con la vita in quanto non è separato dalla vita vita stessa, dall’espressione della sua essenza.
Un albero radicato nelle radici.

Schopenhauer diceva che solo strappando via il velo dell’illusione l'uomo potrà conoscere il mondo e lo potrà strappare tramite tre vie di redenzione dal dolore e dall’ignoranza. L'arte, la pietà e l’ascesi. L’occasione ultima  di ritrovare un’ anima risvegliata dal letargo conoscitivo capace di contemplare finalmente l'essenza della realtà.

Pillola azzurra: fine della storia. Domani ti sveglierai in camera tua e crederai a quello che vorrai. Pillola rossa: resti nel paese delle meraviglie e vedrai quanto è profonda la tana del Bianconiglio.


E’ solo da una settimana che sono qui in collina. 
Ho fatto una torta di mele a Pierino il nostro vicino di casa. La domenica gioco a carte prima di pranzo. Dipingo straordinari disastri emotivi. Scrivo, leggo e sto iniziando a lasciare i capelli mossi perché è cosi che mamma natura me li ha fatti. Passo molto tempo in silenzio a guardare quell’albero. Glielo dico che voglio diventare come lui. 
Ma è presto per parlare di radici. Intanto dopo giorni di pioggia è uscito il sole e chissà se averlo atteso senza desiderarlo, non abbia portato con sé l’inizio di un radicamento.
Forse è solo togliendo quel velo che scopriremo di che colore ha gli occhi la felicità, quando riconoscendo la verità di chi siamo, purificandola con pazienza attraverso le vie della redenzione, torneremo ad unirci da ciò da cui ci siamo separati, ovvero dall’espressione della nostra essenza, dalla nostra forma e sarà gradevole, come diceva Seneca, stare con se stessi il più a lungo possibile, se uno si è reso degno di essere di per sé oggetto di gioia.

Eccola lì la cura.
Eccola li la pace.
Eccola lì la risposta sbalorditiva, ultraterrena, vestita da supereroe con poteri straordinari.

Benvenuto in ciò che cercavi, benvenuto nel centro che dura in eterno.

Immensamente A.


Clicca sulla copertina del disco per ascoltare tutta la traccia in versione completa.

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