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26 Aprile 2024 • ,   

Il nobile compenso per la disobbedienza

Tempo lettura: 9 minuti

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Una delle abilità più comuni nell’uomo è l’arte del trattenere. Vive a sfioro sul bordo della vita aggrappato con i gomiti ai suoi margini con la testa fuori, a sperare che qualcosa passi, che per ultimo lo tiri su, che lo tolga da quello sforzo di convivenza con quella parte di sé che intravede di cui l’ombra non riesce a sopportare.
Arranca per non cadere, vorrebbe dare testimonianza della sua fiducia ma non ci riesce, sfilarsi dai nodi per non rimanere troppo a lungo nella strettezza dei passaggi, ma ha paura di liberarsi perché lottare è la sola certezza che conosce di sé.

Arrendersi non è contemplato, nessuna resa, nessun accenno di abbandono, nessuna tollera per qualsiasi altro resto, di altro, ha solo la resistenza di restituirsi a se stesso. 
L’uomo ignora, tutto quello che è di difficile presa, come le cose che stanno dietro in quanto separate, in quanto nate per fare quello, per stare lontano il più possibile, come fossero il tesoro da cacciare, la ricompensa al sacrificio, o forse il nobile compenso per la sua  disobbedienza.
Sono le cose che si mettono lontane per non farsi consumare subito, rimangono lì fuori mano sottratte alla vista per non essere prese, per essere scelte. Sono le cose che arrivano per ultimo ma non ci arrivano mai disfatte, ci arrivano conservate come se a stare ferme abbiano sviluppato il dono della testimonianza, cioè rendersi reperibili a ciò che l’uomo cercava e che  è sempre stato lì, ma era solo dietro a tutto.

Le cose che stanno dietro le trova dopo le  alternative, quando non corre più ai ripari per sostituire, quando smette di sistemare lasciando che tutto si scomponga all’ ordine, per intravederle, per disinibirle a tirarsi fuori.
Sono le cose che lo allungano, come se volessero insegnargli ad arrampicarsi, come se nel tentativo di essere inafferrabili lo inizino a farsi più alto, ad essere certo di aver visto per bene.

Il vuoto è una di quelle cose nate per stare dietro.
Se ne rimane là in fondo, inerme al riempimento, è fatto per osservare, privo di qualsiasi tipo di interesse, perché sa chi è, uno spazio già pieno per se stesso, in quanto fatto per essere in assenza di qualsiasi elemento. Eppure, si rende disponibile a snaturarsi se è chiamato a contenere. Lo fa anche con le cose dell’uomo,  gli offre la possibilità di aggiungere ciò che per lui è emotivamente troppo ingombrante, come la paura a lasciare che sia, come la mancanza di fiducia per se stesso, lasciandosi vomitare dentro tutte le sue angosce pur di aiutarlo a non impazzire.
È cosi che l’uomo inizia sviluppare delle abilità alla sopravvivenza, sa che c’è il vuoto a tenerlo su, o meglio, sa che qualcosa al posto suo può prendersi la responsabilità di ciò che non vuole reggere, come il peso della sua morte e quindi della sua rinascita, perché  fidarsi di sé implica morire e attendere che vita nuova accada, in uno stadio in cui ,l’unica presa a cui si può aggrappare è se stesso.

Ma la fiducia, è anch’essa troppo lontana per essere vista, troppo intangibile e priva di definizione per diventare il suo gancio , divenire la sua possibile salvezza.
Per questo lottare diventa un’abilità , perché lasciarsi portare schivando la tentazione dell’argine è troppo aleatorio, un azzardo che non vale la pena di sperimentare in quanto detentore di un risultato incalcolabile. Meglio tenersi sempre, sfiancante si, ma più sicuro di percorrere una vita da straniero, da cittadino di un mondo interiore che offre infiniti nuovi alfabeti. Meglio affinare il linguaggio del controllo che  tutte le altre abilità che può scoprire dentro una passeggiata in solitaria nell’ l’anima, perché questa, in quanto separata da ciò che è visibile, non mostra tutto di sé se lui non sceglie di cercarla, malgaro gli dia prova della sua esistenza bussando alle pareti della sua personalità come ad invitarlo ad ascoltare che dietro si trova sempre qualcosa.

Perché oltre, c’è sempre qualcosa ad attenderlo, ma oltre non è un posto per tutti, solo per coloro che sono  disposti ad attraversare la soglia , il corridoio senza luce, la traversata dello smarrimento e che , solo nella disobbedienza a trattenersi troppo, le cose che stanno dietro inizieranno ad elevarsi per portarlo più in alto, per aiutarlo a conquistare qualche metro fuori nell’ignoto, fuori da quei bordi a cui si è aggrappato per debuttare nella vita solo a metà.

Invece l’uomo desiste ad incontrare il suo oltre , nessuna mescolata di carte che può disunire chi andava con cosa, troppo attaccato alle strategie che producono medesime stese, troppa paura di lasciare che il filo scappi fuori dall’asola, perché lui non vuole proprio pensarci di disubbidire, di sganciare gli imperativi dall’unica cosa che non può per natura averli, come la vita per esempio. Dovrebbe concederglielo alla vita un momento di disattenzione dal resto, farlo almeno per cortesia, per educazione, per onorare la sua trasversalità, il suo moto ciclico,  invece lui mette dighe dove acqua vuole scorrere, utilizza a sproposito il libero arbitrio quando nutre qualcosa che  invece vuole morire, quando vita vuole semplicemente essere ciò che è.  Esperienza di movimento. 

E allora eccola lì l’inevitabile sofferenza che il vuoto gli fa provare quando diventa l’argine del suo opportunismo, della sua codardia, quando non rispetta la sua natura, cioè rimanere vuoto e al massimo farsi attraversare. È come la sofferenza che prova l’acqua con il suo argine sapendo che percorrerà a ritroso un percorso che ha già visto, è il malessere di chi vuole fare esperienza di ciò che è e non ci riesce.
Cosi come l’anima col corpo, sbatte, facendogli  provare il suo dolore ogni volta che resiste alla chiamata di buttarsi dentro in sua scoperta, alla ricerca della sua vera strada.
Ma c’è troppa mente coinvolta a comandare i suoi impulsi, ormai è l’unica sfumatura di colore che si concede prima ributtarsi sul bianco e sul nero degli estremi, quella sfumatura che accenna da molto lontano, una possibile volontà di liberarsi dalla tentazione dell’attaccamento, un attimo di disamore dalle forme di conforto, prima di ritornare a farsi stretto stretto per abitare l’angolo più remoto di qualcosa che gli dia anche un solo centimetro di contatto col bordo. 

Cosa passa lì dinanzi per dargli leva a tirarsi sopra, ad aggrapparsi?
Ci dovrà per forza essere qualcosa di tremendamente sacro dal quale non può slegarsi che sia degno della sua pena.
Potrebbe trattarsi di una promessa, un patto karmico, di un vincolo che non concede esenzioni, il patrimonio spirituale di cui l’eredità gli ha dato stenti a sufficienza per stare, senza poter desiderare altro? Sarà forse la gratitudine, il senso del dovere, la paura dell’abbandono o forse,  l’idea che si è fatto di sé e di cosa gli sta intorno a renderlo incrollabile? 
Chissà, cosa potrebbe accadere, se dovesse mai rinunciare a quell’immagine che sembra colorata ma che in realtà ha sovrapposto un gran bel filtro.
Dovrebbe privarsene di quell'immagine, se si rifiuta di tirarsi su dal bordo completamente, al contrario dovrebbe uscire con forza e gettarsi con passione, raccattare stelle, bocche, fiori, correre da una parte all’altra per fermare il tempo quando è tardi e deve rientrare, chiederebbe alle tovaglie di non sparecchiarsi, ai calici di non svuotarsi mai e dovrebbe sentire nel petto quella pace che gli da la vita quando prende le bocce per farle stare ferme. Glielo regala volentieri, un equilibrio, all’uomo, la vita, se dimostra il suo impegno a non sprecarla nel dubbio che lo allontana dal trovare se stesso senza. Lo premia impregnandolo di un’ inestimabile pienezza per aver aderito sopra ogni cosa con coinvolgimento, senza lasciare nemmeno un po’ di spazio ad un solo tentennamento.

Ma di tentennamenti invece lui ne ha eccome, e non c’è nessuna colpa ad averne di tentennamenti, se non altro perché sono il solo modo che ha la vita di instradarlo sulla frequenza del suo cuore, creandogli perplessità su quella dove si sforza innaturalmente di sintonizzarsi. Forse ,è solo cosi che l’uomo si salva dalla tentazione del trattenersi, quando pur dandosi il tentativo di buttarsi fuori con passione, anche la cosa più bella che può guardare  risulta incolore, quando l’immagine seppur vestita di un bellissimo filtro, sembra ora essere priva di profondità.
Ci sono le tavole apparecchiate, calici colmi di euforia, ci sono stelle che tengono per mano i fiori e ci sono persino le bocche pronte ad aprirsi, eppure della pace, nessun ombra.
Perché allora? Non era cosi che sarebbe avvenuto il miracolo? Cosa ha sbagliato per non meritarsi qualche grammo di pienezza? 
Forse non è riuscito ad aderire su ogni cosa completamente, avrà lasciato qualche spiffero scoperto, sarà sicuramente andata cosi, o forse non era fuori che si sarebbe dovuto buttare andando in cerca di stelle, se prima non si fosse buttato ad acchiappare farfalle dentro.  

Forse avrebbe dovuto solo decodificare che il fastidio della sua scomodità, era un’anima che  manifestava il suo malessere per essersi incarnata, dentro una persona che vive ad un metro di distanza da lei. Se lo avesse fatto, se fosse riuscito a decifrare la sua angoscia come l’occasione che la sua esistenza gli stava offrendo per allungarsi dentro, verso ciò che di sé non ha mai visto, sarebbe avvenuto il vero grande miracolo, quel fatto eccezionale dove  finalmente le cose che stanno dietro si disinibiscono a farsi avanti.

Invece lui a quelle cose, non gli da il  permesso di scegliere per lui in quale luogo farlo sentire meglio, qual è lo spazio in cui farlo sentire più largo, più lungo, dove può distendere le braccia tanto quanto vuole, senza la paura di toccare dentro niente, per una volta nella sua forma. 
Ma no, lui le cose che stanno dietro non le vuole portare da nessuna parte, con quell’egoismo e quella vigliaccheria  di chi crede di sapere cosa è meglio per lui. Le tiene al sicuro e per nulla al mondo mai farle sprofondare, come fosse un patto di alleanza, come se a chiedere loro di non spingere, lui possa promette che riuscirà a salvarsi anche senza di loro, con quell’imperativo  che esercita la  diga con l’acqua per non farla andare avanti mai. 
Le nutrirà della sua personalità per farle sopravvivere, le ciberà di ciò che per loro è incomprensibile per stordirle, come ciò che è analitico, pensato, e anche se non è sicuro che siano proprio sue le cose a cui pensa, non importa, lui ha paura di provare qualcos’altro, tipo le cose vulnerabili,  tipo le emozioni, tipo l’euforia, l’adrenalina, tipo tutto ciò che non si può controllare. Perchè è questa la sostanza di cui sono fatte le cose che stanno dietro, sono imbevute di sentimenti travolgenti, incontrollabili e che per natura non comprendono tutto ciò che è razionale, logico e calcolato. Cosi porterà anche loro ad avere paura di rischiare, a mettere in dubbio se stesse, perché ormai è affezionato al dolore di un’anima intrappolata che vuole esplodere ma non può, e quel peso è l’unica cosa che lo fa esistere, quasi da fargli compagnia, anche se lo detesta, anche se lo costringe a farsi piccolo piccolo sul bordo di una vita senza mai averla vissuta veramente.


Le cose che stanno dietro attendono senza mai stancarsi.
Rimangono sempre pronte ad intervenire, ma solo se lui vuole, se invece rimaranno dietro, finiranno per farlo ammalare, per punirlo di aver sprecato il suo vero scopo di vita, il suo dono, la sua missione, il suo contributo nel mondo.
Anche il cuore è una di quelle cose nate per stare dietro. È gentile con l'uomo, malgrado non si accorga di lui, ma in quanto nato per stare dietro, ha la facoltà di punirlo se non lo difenderà. Gli toglierà la luce dagli occhi, lo svuoterà dei sentimenti più accesi, lo farà vivere si, ma trascinandolo. È solo cosi che si riscatterà alla sua inosservanza riempiendolo di affanno e di noia, perchè come per tutte le cose che stanno dietro, tende a seccarsi e per ultimo a creparsi, se non le annaffierà.
Al contrario, se sceglierà di accoglierle, saranno la ricompensa per il sacrificio di essersi affidato alla corrente quanto chiedeva di straripare, il nobile compenso per aver disobbedito alla sua mente.  Perché è di questo che ha paura, di non avere più lei come corda per la sua salvezza. Può rimanerle aggrappato per anni se non addirittura una vita, ma non gli verrà mai tolta la possibilità di sganciarsi da lei.
A nessuno uomo mai, vengono tolte le cose che stanno dietro. 
A nessun uomo verrà tolta la fede, il coraggio, il talento, la vocazione, il sogno, l’amore.
A nessun uomo mai, verrà tolta la sua reale salvezza, ma gli verrà data in dono solo se si arrenderà alla morte, solo se attraverserà la soglia , il corridoio senza luce, la traversata dello smarrimento, solo se rinuncerà a trattenersi e si lascerà sprofondare nel vuoto per un po’. 
Solo allora, le cose che stanno dietro inizieranno a sollevarlo per portarlo più in alto, perchè è abitando quel vuoto apparentemente ostile che potrà accedere al tesoro nascosto, alle sue meravigliose qualità, al motivo per cui l'esistenza l'ha voluto qui.
Attraversando il vuoto potrà restituirsi a se stesso, quando camminando in solitaria nell'anima, incontrando la sua fede, il suo coraggio, il suo talento, la sua vocazione, il suo sogno e l’amore per se stesso, inizierà a grazie a loro, a sentirsi finalmente comodo, a casa, e capirà che la sua salvezza era sempre stata lì, ma era solo dietro a tutto.

Quando l'uomo inizierà a considerare lo spazio senza appigli come una grande esperienza per diventare il suo progetto di vita, il suo riempimento, sarà il nobile compenso per la sua disobbedienza e che l’unico peso che dovrà portare con sé, a quel punto, sarà solo il peso della sua pienezza.

L’evoluzione di un uomo passa attraverso tre tipi di vuoto.

Nel primo sprofonda, nel secondo si aggrappa, nel terzo galleggia.

E’ come quando impara a nuotare.

La prima volta ha paura, la seconda volta ci prova, la terza si fida.


Alziamo le dighe e facciamo scorrere l’acqua.
Debuttiamo nella vita come una corrente in piena.
Diventiamo il progetto della nostra vita.

Immensamente 
A.

.


Clicca sulla copertina del disco per ascoltare tutta la traccia in versione completa.

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