About me

Ciao, mi chiamo Alessandra, classe 89 ma preferisco i diminuiti che accorciano le distanze, quelli buttano ami sull’empatia, che aprono spalle per dire all’altro ehi sono qui, quando vuoi beviamoci una birra, io ti ascolto.

Perciò chiamami come vuoi Ale, Alex, oppure con il mio nome completo che mamma scandiva per esteso quando lo urlava dalla cucina alla cameretta lanciandomi ciabatte senza mira.

Ho due cani, Axel un Jack Russel di 17 anni fissato con biscotti e palline da tennis con un alito da brividi rinominato cavigliera o fermaporte e Joy, un Amstaff che quando l’ho adottata non mi avevano detto che leccava caviglie a tradimento sotto banco e dormiva solo su materassi memory rigorosamente sdraiata in orizzontale.

Sono schiava dei packaging non leggo le cose sulle confezioni, e finisco per lavarmi i denti con una crema viso all’aloe perché ha lo stesso tubetto del dentifricio. Ho una fissazione per l’acqua, penso d’essere morta di sete in un'altra vita, e mangio biscotti al burro nonostante l’intolleranza al lattosio. Passo da giornate con Freddy Mercury nelle cuffie a Pino Daniele. Buttarmi da un estremo all’altro mi ha fatto scoprire che sono molto più di una cosa sola.

Ho preso un volo di sola andata per Londra convinta che sarebbe bastato posizionare la mia vita su una mensola da qualche altra parte del mondo per risolvere i miei drammi quando invece li ha soltanto decentrati. Ho dormito 6 mesi per terra al freddo su un materasso senza rete nella casa in Abbey road, quella che mi sembrava insopportabile e che me la facevo andare bene con le bottiglie dell’acqua calda nel letto, le pentole per lavarmi i capelli e le strisce pedonali dei Beatles a 200 metri dal  marciapiede.

Ho conosciuto quegli evidenti errori del destino che sembravano una scorrettezza da sottolineare come un “a me mi” un “ma però”, ma che a nessuno viene di correggerli, come una precoce realtà che ti fai andar bene, che tanto anche se è sbagliata si fa capire comunque. Come quando mi hanno prelevato l’anima dal midollo tra L3 e la L4 in un pomeriggio di novembre quando per la prima volta ho scoperto che il T9 conosceva prima di me la parola sclerosi multipla

Parte della mia vita è stata imballata dentro scatoloni, tranne il mio pupazzo Tez, i miei libri, e una carta da gioco con un jolly che sta nella tasca dietro del portafoglio insieme alle foto di tutti i miei nonni.

Mi piace cucinare o meglio mi piace l’aria che si respira in cucina. Un bicchiere di vino, Otis Redding sul giradischi e a meno che io faccia la beouf bourguignon di Julia Child, in cucina mi trovi sempre con un minimiper in mano. Mi fa sentire una top player frullare tutto quello che trovo in cucina.

Al mio rientro da Londra ho capito che tu sei l’unica persona che può darsi il proprio valore. Cosi ho aperto una location di eventi perché far felici le persone era il mestiere che avrei voluto fare nella vita, poi è arrivato il covid e mi sono ritrovata a staccare la carta da parati dalle pareti che avevo appena finito di pagare.

Ho bussato alla porta della terapia quando la vita sembrava avermi preso di mira, quell’analisi che è riuscita a leggermi dentro tra la paura e la vergogna il desiderio di voler essere solo serena.  Poi, d’un tratto, avvertire l’urgenza di conoscere a muso duro i perché che si celavano dietro l’atteggiamento della vita che che mi ha messa al mondo in piedi a giorni alterni, inciampando tra la differenza di 2 preposizioni semplici che oggi mi hanno insegnato a leggere che le cose ti accadono per te e non a te.

Ho capito che i sogni senza obiettivi sono solo sogni, quando l’ingenuità di credere che bastasse solo immaginarli continuava a farmi cucire i buchi alle magliette. Cosi ho imparato a scriverli al centro di un foglio, accorgendomi che lo spazio del processo era sempre quello più grande e che non si finisce mai tirare possibilità, nemmeno quando non c’è più bianco per scrivere altro.

Relativamente adulta ho imparato che quello che vuoi ti arriva quando ti fai trovare pronto. Pronto per la felicità pronto per l’abbondanza, pronto per l’amore e pronto per la salute. Perché quando non sei chiaro nelle intenzioni ti torna indietro una vagonata di casualità.

Provo a capire l’essenziale e mastico la gratitudine. Sto imparando ad attraversare anziché a colmare, per non scappare dai mostri quando li sento bussarmi da dentro ma  preparargli viaggi in solitaria per dividermi con loro gli umori e tele da colorare per permettere al silenzio di guarirci.

Ho riscritto mille volte il senso delle cose quando non sentivo combaciarmi dentro e non azzeccarci nemmeno con la fortuna del “ Se lo avessi fatto apposta non mi sarebbe venuto”, poi capire che era una voce interna mai ascoltata quella roba che sentivo urlarmi sullo stomaco da dentro e che provavo a decifrare. Cosi,  per evitare malintesi, le ho dato un megafono e le ho detto di urlare più forte quello che aveva da dirmi, e lei ha urlato, lacerando ogni parte di me per tornare a farsi spazio, per tornare a vivere senza che io sovrascrivessi sopra il suo intuito, sopravvissuto facendo contenti gli altri , consegnandomi infine che la vita può essere facile quando ti dici la verità.

Quando devo ritrovarmi, mi siedo spesso per terra in qualche angolo della casa. È lì che provo a sentire se sono ancora allineata, se sono ancora al centro.

Sono stata una grafica, una visual merchandiser, una training manager e un event planner. Mi occupo di sviluppo nell’azienda di famiglia e ho un brand di cosmetica. Ho provato a scrivere un libro che non è in un cassetto ma sta in una cartella di pages rinominata Libro e che non apro da tempo perché le cose grandi fanno paura. E se ti elenco le cose che ho fatto o che tutt'ora porto avanti, non lo faccio con l’intenzione di srotolare l’ego i lungo e in largo, piuttosto perché  “Chi sono”  ho smesso da tempo di vederlo abbinato al mio nome o ai lavori che faccio per vivere, che puoi vivere tanti te in un’unica vita, che puoi essere bravo a fare cose e poi avere una vocazione, che lasciarti  il permesso di cambiare è l’unica cosa che ti rende libero, che è l’unica certa che ti occorre sapere di te e che a me, di me, tra cucinare beouf bourguignon a non mangiare più carne, mi sono rimaste sempre e solo le parole. Così ho aperto questo blog.

Scrivere è il mio ponte di sopravvivenza tra vivere e morire, quella cosa che quando tutto intorno crolla è la sola a tenermi appesa la vita. E in questo spazio, scriverò proprio di quella vita, della nostra vita, di quello straordinario velocissimo momento di esistenza che accade in quel tratto di mezzo tra l’inizio e la fine perché ho capito ,che forse, è solo guardando l’insieme che riusciremo a trovarci per ricongiungerci, che forse è solo da lontano che capiremo che siamo tutti alti uguali.

Spero che tu rimanga qui con me, con noi.
Abbiamo bisogno di parole che sollevano e di mani che stringono.

Immensamente ,
A.
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